(23) Peccato che di siffatta letteratura genealogica restino notizie assai scarse! È del resto disgraziatamente la sorte comune a tutto ciò che concerne questa prima fase del romanzo cavalleresco, che, in grazia di quel che s’è visto riguardo al linguaggio, si suol chiamare «franco-italiana».
La propagazione della materia dalla regione transalpina alla cisalpina par seguita soprattutto di buon’ora ed essersi poi rallentata; ché altrimenti poco si capirebbe come l’Italia abbia conosciuto meglio gli strati arcaici delle chansons de geste che i successivi, tanto da conservare racconti e forme di racconto dimenticati poi e alterati nella Francia, e da ignorare invece quasi affatto le creazioni ibride che introdussero nel genere il meraviglioso dei romanzi d’avventura. Ma l’attività nostra non si ridusse già nemmeno nella prima fase a conservare e ripetere. A differenza di quanto seguiva per il ciclo brettone, molto si rifece e molto si aggiunse di nuovo. E tra le innovazioni e creazioni non mancarono le ingegnose e felici; ma ingegnose e felici non furon tutte di certo.
Per un processo di evoluzione, che equivaleva qui a un corrompimento, venne a moltiplicarsi sempre più un certo genere di racconti, di cui nella Francia non s’era ancora abusato. Lo schema presso di noi si può dire il seguente. Un barone della corte di Carlo, o di sua propria volontà, ed allora di nascosto, oppure costretto da un bando, lascia la Francia, e va errando sconosciuto per la Paganìa. Là compie ogni sorta di prodezze: uccide mostri, vince tornei, decide della sorte delle guerre.
| |
Peccato Italia Francia Francia Carlo Francia Paganìa
|