Di qui, supposta la medesima diffusione e un’egual durata di attività parimente intensa, conseguirebbe di già che la massa della letteratura cavalleresca toscana dovesse superare d’assai quella dell’Italia settentrionale. E s’aggiunge un altro fattore: l’importanza nuova acquistata dalla prosa, grazie alla ferma e salda costituzione della lingua letteraria. In prosa volgare gli abitanti della valle del Po scrissero poco; poco in francese, poco in linguaggio indigeno, fino a che almeno non dettero loro animo e sostegno gli esempi toscani, e un nuovo genere d’ibridismo non si surrogò all’ibridismo franco-italiano. E ibride sono manifestamente le più delle prose romanzesche che conosco finora.
Ma di là dall’Appennino le cose andarono in ben altro modo. Quasi d’ogni romanzo s’ebbe accanto alla poetica una forma [17] prosaica. Se taluno fa eccezione, se a volte le versioni poetiche sono due, e perfino tre, in compenso ci sono racconti, che paiono essersi contentati sempre della sola prosa. I rapporti tra le due forme non sono gli stessi in ogni caso. In generale la letteratura prosaica e la poetica rassomigliano a due fiumi che scorrano paralleli, derivando le loro acque da un bacino comune. Non si può dire che l’uno esca dall’altro, quantunque numerosi canali li facciano comunicare, e portino ora a questo, ora a quello, un contributo considerevole. Fuori di figura, la letteratura romanzesca toscana, senza distinzione di prosa e di rima, ha rapporti diretti e immediati colle età precedenti.
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Italia Appennino
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