Al contrario il carolingio fu spaventosamente prolifico, tantoché la famiglia si cambiò presto in tribù. Alla quantità non corrispose per nulla la qualità; e più s’andava innanzi, più pareva che la razza degenerasse. Per buona sorte arrivò a tempo il rimedio, quando del romanzo cavalleresco s’impadronirono i poeti d’arte.
Il primo tentativo fu il Morgante. Il Pulci non creò la sua tela. Fino ai casi che preparano Roncisvalle, egli fu rifacitore geniale dell’opera di un rimatore oscuro;(26) da indi in là caracollò molto più liberamente, ma ancora sul cavallo della tradizione. Da questa si discostò, è vero, oltreché nei particolari, quando fece intervenire Rinaldo alla famosa rotta;(27) ma allora [20] ricorse all’espediente di trincerarsi dietro autorità di sua invenzione; e lo seppe fare così bene, che anche i moderni si lasciarono cogliere all’inganno. Le due parti del Morgante sono semplicemente appoggiate l’una sull’altra, e paiono un tutto, solo perché non si è soliti guardarci con attenzione. Per noi l’importante si è, che appartengono entrambe al ciclo carolingio. Nella prima si ravvisa, in fondo, uno dei tanti esemplari di quel tipo volgarissimo, descritto a proposito dell’età franco-italiana. Gli episodî presi o ispirati da romanzi della Tavola Rotonda vi sono certamente assai numerosi;(28) ma con tutto ciò, restando sempre allo stato d’infiltrazioni, non bastano a trasformare sostanzialmente la materia. La seconda parte è nel complesso una metamorfosi della Chanson de Roland, vale a dire del poema centrale del ciclo.
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