La gloria ne spetta ad uno di quei paesi, dove il romanzo aveva avuto un primo periodo di rigoglio. Il fatto non mi par punto casuale. Nella Toscana la letteratura cavalleresca godeva il favore di un pubblico numerosissimo, ma volgare. Da un gran pezzo la classe colta se ne sollazzava più per capriccio, che perché ci trovasse un trattenimento conforme al suo genio. Che a volte ci prendesse gusto, non è niente strano. E a chi di noi non accadde talora, anche dopo essere entrati nella categoria degli adulti, se non degli uomini serî, di fermarsi davanti alla baracca dei burattini, e di ridere un momento delle spavalderie d’Arlecchino e della melensaggine astuta di Pulcinella?
Invece sulle rive del Po tutti avevano preso amore e interesse ai personaggi dei romanzi. Le condizioni si son già descritte, né c’è bisogno di tornarci su. Giacché, anche quando la produzione venne quasi a cessare, non si buttò per questo in disparte la roba che già si possedeva. Solo si accolsero, alterandoli più o meno, anche i nuovi prodotti della Toscana, particolarmente i poetici. E questi, a poco a poco, vennero acquistando terreno, tantoché finirono per far dimenticare quasi del tutto al popolo ed ai cantastorie le rozze composizioni che prima costituivano il loro patrimonio. La serie ad una rima dovette battere in ritirata davanti all’ottava; la quale, insieme con un linguaggio che si sforzava di essere quanto poteva toscano, divenne la sola forma usata anche in ciò che di poetico si produsse di nuovo.
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