Però, per attenersi [23] alla materia di Francia bastava abbandonarsi alla china; per scegliere quella di Brettagna sarebbe bisognato rimontar la corrente.
E non è questa la sola spinta che agisse in siffatta direzione. Se i casi che i nuovi romanzi raccontavano di Carlo e dei Paladini riuscivano piuttosto a stuccare che a divertire la gente colta e di gusto fine, il nome del grande Imperatore era pur sempre per tutti quanti il più noto, il più splendido, dai tempi di Roma in qua. E dopo tanta insistenza, dopo tanto lavoro delle fantasie, quel nome, e gli altri che gli facevan corona, parevano nostri più che mai. Popolari dunque nel senso più assoluto e rigoroso della parola, offrivano una base così solida, da potercisi fabbricar sopra anche la torre di Babele, se mai si volesse. E badiamo, che la fantasia ne’ suoi voli sente pure il bisogno di qualcosa su cui posare tratto tratto sicura; nello spazio sconfinato non s’abbandona se non eccezionalmente, oppure se il poeta è mal fornito di ragione e di buon senso. Ciò che si dice dei personaggi si potrebbe applicare, suppergiù, anche alle scene; le quali nei romanzi della Tavola Rotonda erano dappertutto nomi senza significato per lettori e ascoltatori italiani; nell’altra classe presentavano quella temperata mescolanza di noto e d’ignoto, che soddisfa il raziocinio, ed insieme accontenta l’immaginazione.
Secondo me, era dunque naturale, quasi direi necessario, che il Boiardo prendesse lo scheletro dal ciclo di Carlo Magno. Ma era ben altra cosa quando si trattava di rivestirlo di polpe.
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