Allora doveva tornare a galla il nobile conte, il cortigiano, l’uomo colto e di mondo. I Rinaldi e gli Orlandi dei soliti cantari ai suoi occhi erano figure ridicole, goffe, degne di quei buoni antenati, che, al grido d’un frate fanatico, abbandonavano ogni cosa diletta, mettendo in cima d’ogni cura il pensiero d’ammazzare Saracini e di riacquistare il sepolcro di Cristo. Ma adesso, nel secolo XV, tra le raffinatezze di una corte elegante, chi saprebbe mai concepire cavalieri senza amori, senza cortesie, senza giostre e tornei? I veri tipi della specie s’avevano dunque in Lancilotto e in Tristano; sicché, se i Paladini volevano conservare il loro posto, dovevano accomodarsi a [24] mutar costumi e sentimenti, e mettersi in avventura alla maniera e colle idee degli Erranti. S’avrà dunque la fusione delle materie di Francia e di Brettagna; i due fiumi che prima scorrevan paralleli, ora si congiungeranno in un solo letto. L’onore di dare il nome al nuovo corso resterà al ciclo di Carlo; ma la massa più considerevole delle acque verrà dai dominî di Artù.
S’ha tuttavia un bel parlare di fusione, come se - chiedo scusa del paragone - bastasse ad un cuoco mescolare ingredienti svariati per comporre un piatto prelibato. Mescolanze se n’erano già avute molte volte, e sempre senza effetti durevoli, o con esito addirittura infelice. Perché la fusione non riuscisse confusione, occorreva un uomo di genio. Il Boiardo pareva creato apposta per quest’opera. La natura gli aveva concesso, e i tempi avevano favorito ed accresciuto in lui, una facoltà preziosa di combinare, di accordare, di trar fuori un mondo nuovo da un caos di elementi.
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