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      Ogni nuova creazione ne generava non so quante altre; ogni causa si trascinava dietro una catena di effetti. Così si veniva producendo un nuovo mondo, che, dopo il dantesco, è ai miei occhi il più mirabile che sia uscito dalla fantasia italiana.
      In questo mondo una passione predomina: l’amore. L’amore è anima universale qua dentro; un amore, col quale ha ben poco di comune, sia l’affetto verginalmente pudico di Orlando per Alda nella Chanson de Roland, siano le vampe lussuriose, altrettanto facili ad accendersi quanto pronte a spegnersi, che accoppiano spesso eroi cristiani e femmine saracine in tutti i nostri romanzi del ciclo di Carlo. E con tutto ciò l’amore del nostro poema non si può nemmeno dir quello dei romanzi della Tavola Rotonda. Non già che non ne sia la continuazione; ma il Boiardo era l’uomo della vita, non solo dell’arte, né aveva passato indarno molti e molti anni tra i Fedeli d’Amore. Però questa passione non ha segreti per lui; egli la può ritrarre in tutte le sue forme con mano maestra. Chi ne soffre, sono i tipi femminili, che, avvicinati alla realtà, conservano intera la potenza delle Ginevre e delle Isotte, ma vedono dissipata quell’aureola, dentro alla quale non osavano penetrare sguardi profani. Le dee diventan tiranne. Il poeta fa le vendette dell’amante. L’artista che qui crea, è, rammentiamocene, l’uomo stesso che aveva detto ad una sua donna:
      Già me mostrasti, et hor pur me ne avedo,
      Rose de verno e neve al caldo sole:
      L’alma tradita più creder non vole,


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Le fonti dell'Orlando Furioso
di Pio Rajna
pagine 965

   





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