Se il fondo del carattere non restasse il medesimo, avremmo un innamorato di più, e null’altro. Discorrere di creazione e d’originalità sarebbe allora sciocchezza. Ora, immaginiamoci amante il guercio conte di Brava. Sarà un amante timido, credulo, pudico, insomma, discretamente goffo. Si sarebbe tentati di paragonarlo all’asino che volle imitare il cagnolino, e far vezzi al padrone. Ecco dunque erompere una vena copiosa di umorismo e di burlesco. - E il [27] Boiardo la lascierà sgorgare? - Ma se ce l’ha aperta egli stesso, con piena coscienza di ciò che faceva!
Certo il sentir parlare di burlesco e umorismo, a proposito dell’Innamorato, deve far meraviglia, e non poca. Si è tanto avvezzi a sentir ripetere su tutti i toni, e da uomini autorevolissimi e giudiziosissimi,(33) che il Boiardo canta le guerre d’Albraccà, e le avventure d’Orlando e di Rinaldo, con quella medesima serietà e convinzione, colla quale il Tasso celebrava un secolo dopo le imprese dei Cristiani in Palestina e l’acquisto di Gerusalemme! È un errore, di cui mi par superflua la confutazione. Sarebbe come voler dimostrare, a cielo sereno, di bel mezzogiorno, che il sole risplende. S’alzino gli occhi, e non s’avrà fatica a vedere. Del resto non è difficile rendersi ragione di codesto abbaglio singolare. Fu, secondo me, una specie d’induzione, fabbricata su quel notissimo rifacimento, che tanto contribuì all’ingiusta dimenticanza dell’originale. Poiché l’opera aveva una tinta comica dopo esser passata per le mani del Berni, bisognava che nella forma sua propria fosse la stessa serietà. Il poeta fiorentino poteva averla travestita; poteva: quindi doveva.
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