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      Non vorrei esser io l’autore di questo bel ragionamento, né mi prenderò la briga d’indagare, a chi ne spetti il merito. Una volta concepito, servì ad alimentarlo l’antico vezzo dei critici, di discorrere delle cose anche non le conoscendo, anzi, tanto più volentieri, quanto meno le conoscono. Né ci possiamo meravigliare che poi si perpetuasse di bocca in bocca e prendesse sempre maggiore consistenza, alla maniera dei dogmi. D’altronde, supporre serio il Boiardo, pareva bello per la distribuzione delle parti tra lui e l’Ariosto. E, santo Dio! come si fa a resistere alla tentazione di dire e di credere vero quello che piacerebbe che fosse?
      Né è solo l’innamorarsi d’Orlando che introduce nel poema un elemento comico. Non ci vuol molto ad accorgersi che tra il Boiardo ed il mondo da lui preso a rappresentare, c’è un vero contrasto, dissimile soltanto per grado e per tono da [28] quello che impediva al Pulci d’immedesimarsi colla sua materia. Ché agli occhi di ogni Italiano colto del secolo XV erano ridicoli quei terribili colpi di lancia e di spada, che al paragone avrebbero fatto apparir fanciulli gli eroi d’Omero; ridicolo quel frapparsi le armature e le carni per le ragioni più futili, od anche senza un motivo al mondo; ridicole le profonde meditazioni amorose, che assorbivano tutta l’anima per ore ed ore, e sopprimevano ogni ombra di coscienza; ridicole, insomma, tutte le esagerazioni dei romanzi cavallereschi. O come si vuole che un uomo imbevuto fino al midollo di coltura classica, e dotato di un buon senso a tutta prova, avesse a contemplare e rappresentare questo mondo senza mai prorompere in uno scoppio di riso?


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Le fonti dell'Orlando Furioso
di Pio Rajna
pagine 965

   





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