Se in ciò v’è qualcosa di donchisciottesco, di ridicolo, bisognerà rassegnarsi a ridere anche dell’Alighieri e delle lagrime che fa spargere a Guido del Duca, quando rimembraLe donne e i cavalier, gli affanni e gli agi,
Che ne invogliava amore e cortesia,
Là dove i cor son fatti sì malvagi.
(Purg., XIV, 109.)
In Dante c’è un profondo senso di rammarico per un bene che non è più; nel Boiardo si manifesta la letizia del vedere la pianta, dopo un periodo squallido, vestirsi nuovamente di foglie e di fiori:
Nel grazïoso tempo onde naturaFa più lucente la stella d’amore,
Quando la terra copre di verdura,
E l’arboselli adorna di bel fiore,
Giovani e dame, et ogni creatura,
Fanno allegrezza con zoglioso core;
Ma poi ch’il verno vien e ’l tempo passa,
Fugge il diletto e quel piacer si lassa.
Così nel tempo che virtù fioriaNe l’antiqui signori e cavallieri,
Con nui stava allegrezza e cortesia,
E poi fuggirno per strani sentieri,
Sì ch’un gran tempo smarrirno la via,
Né del più ritornar fenno pensieri.
Ora è il mal vento e quel verno compitoE torna il mondo di vertù fiorito.
Et io cantando torno alla memoriaDe le prodezze de’ tempi passati....
(Inn., II, I, 1-3.)
Insomma, nel sentimento cavalleresco spoglio delle sue esagerazioni ridicole, è riposta, secondo me, la verità oggettiva delle creazioni del Boiardo; tutto il resto è del dominio dell’arte e della fantasia. Non meravigliamoci quindi dei tanti ghiribizzi che ci si affacciano nella lettura; se il poeta non ha ritegno a scherzare col soggetto, né ha rimorso di esporre alla derisione i suoi personaggi, gli è che egli intende a celebrare la prodezza, la cortesia e l’amore, non già Orlando e Ferraguto.
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