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      Insomma, sotto questo aspetto, chi parla di opposizione tra l’Ariosto e il Boiardo, si prende l’incomodo di sognarla. Né il primo ha nulla che fare col Cervantes, né il secondo cogli autori dell’Amadis e di tutta la roba consimile.
      A giudicare senza pregiudizi, l’Ariosto prende anzi maggiormente sul serio l’opera sua.(39) Sono in essa parti considerevolissime, che, quanto al tono, potrebbero star tali e quali nel poema del Tasso. Mostrare la ragione di questo fatto, vale lo stesso come assegnare al poeta il posto che veramente gli si conviene nella storia del romanzo cavalleresco italiano.
      L’Ariosto non si mise a comporre un poema romanzesco, perché le tendenze dell’ingegno, gli affetti del cuore, i sogni della fantasia, ve lo trascinassero irresistibilmente. Egli era un artista che andava in traccia d’un soggetto. Le fole della [36] cavalleria, quali le aveva trasformate e concepite il Boiardo, gli parvero materia opportuna; e queste pertanto prese a foggiare, sia pur dando poi al suo lavoro tutto sé stesso. Quasi lo paragonerei a Raffaello, che consacra il genio a immaginare e dipinger Madonne, avendo nel cuore la Fornarina; e gli vorrei contrapporre l’estatico Frate da Fiesole, con quelle sue creature celesti, espressione sensibile di aspirazioni e credenze. Per l’Ariosto l’arte stessa diventa fine.(40) E non si tratta qui di un fatto eccezionale. Se la formola, l’arte per l’arte, è invenzione recente, la cosa è antica assai, e l’età che si è voluta denominare da Leone X, n’è, senza dubbio, una delle manifestazioni più schiette e più splendide.


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Le fonti dell'Orlando Furioso
di Pio Rajna
pagine 965

   





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