Di qui, se l’Ariosto fosse venuto al mondo anche solo trent’anni dopo, sarebbero nate conseguenze deplorevoli in sommo grado. Egli avrebbe piegato il giogo alle cosiddette leggi aristoteliche; leggi tiranniche, se applicate da cattivi interpreti. Ma quando egli scriveva, i dogmi della Poetica non s’erano ancora ribanditi solennemente; si poteva sempre in buona fede credersi ortodossi, anche non essendo ossequenti a tutto ciò che si contiene nel Sillabo e disconoscendo l’Infallibilità. Però l’Ariosto si permise di comporre un poema ribelle all’unità dell’azione; e non ebbe alcun ritegno di dichiararlo [37] apertamente, coll’aria d’un uomo non punto conscio a sé stesso di colpa.(41)
Con tutto ciò, l’intendimento di comporre un’opera d’arte, se giovava sommamente alla forma, intesa nel senso più largo e comprensivo, doveva produrre anche allora certi effetti che posson rincrescere. L’Ariosto era un uomo nutrito di lettere classiche; non sapeva, è vero, leggere i Greci nella loro lingua originale; ma non smetteva mai Virgilio, Ovidio, Catullo. Questo significa, che doveva sentire un bisogno prepotente di avvicinarsi a quei modelli; ed avvicinarsi, voleva già dire imitarli, tenerli dinanzi agli occhi più che la Natura. Poiché, disgraziatamente, volgeva al termine quel periodo fortunato, quando nella letteratura volgare il classicismo serviva a promuovere l’originalità, e Dante poteva ripetere dal Poeta Mantovano il suo bello stile. La letteratura nostra s’andava allontanando dal popolo, e si preparava a chiudersi troppo nelle sale accademiche.
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