Al Boiardo, oltre all’attitudine dell’ingegno, era toccata anche la sorte invidiabile di nascere per l’appunto al momento opportuno. Né prima né poi sarebbe stato possibile neppure a lui di congiungere la freschezza, la spontaneità, la libertà spensierata del poeta popolare, colla chiara ed esatta coscienza degli scopi e dei mezzi propria del poeta d’arte. Nell’Ariosto, giunto un po’ tardi, l’artista è sommo; quanto a correttezza di disegno, egli si lascia indietro a grandissima distanza il suo predecessore; ma in lui la conoscenza dei Classici non si trasforma più tutta in forza viva: al processo di ricreazione si sostituisce spesso l’imitazione.(42)
Però, nell’aver accostato il romanzo cavalleresco ai generi ed ai modelli del classicismo, consiste l’opera peculiare del [38] nostro poeta. Certo sopravverranno altri scrittori, ai quali Lodovico parrà aver fatto ancor poco. Bernardo Tasso tenterà di cavare dal romanzo d’Amadigi un poema ossequente alle unità aristoteliche; sennonché la noia degli ascoltatori lo ammonirà a tempo di mutar strada. Verrà poi Torquato; e scegliendo una materia meno ribelle, riuscirà ad occupare nelle nostre lettere il posto che Virgilio tiene nelle latine. Ma anche di qui si può vedere che un confronto tra il Furioso e la Gerusalemme non è poi quell’assurdità, che si va predicando da certi moderni. Quando gli estetici del secolo XVI e del XVII se ne compiacevano tanto, sapevano bene cosa facevano. Assurdo sarebbe mettere il Tasso a fronte del Boiardo; ma l’Ariosto è iniziatore di quel movimento, che si compie in Torquato.
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