Il lamento che le è messo in bocca (VIII, 40-44) quando [44] si vede tratta in un cupo deserto dal cavallo a cui il lascivo eremita ha fatto entrare in corpo un demonio, non disconverrebbe davvero a una Lucrezia. E la capricciosa del Boiardo sarebbe stata capacissima di giocare ad Orlando il brutto tiro dell’elmo (XII, 52); ma non avrebbe poi, credo io, sentito rimorso e pentimento perché il giuoco fosse troppo riuscito, né si sarebbe rimproverata il cattivo merito reso ad Orlando di tanti servigi fedeli (Ib., 63). Qui l’Ariosto mi pare aver fatto un po’ di sfregio alla stupenda creazione del Conte di Scandiano. Sennonché ci risarcisce, quando fa che questa superba, questa dispregiatrice di adoratori nobilissimi e gloriosissimi, si accenda d’un povero fante (XIX, 20), e sacrifichi a lui quella libertà, di cui andava tanto orgogliosa. Medoro fa le vendette d’Orlando, di Ferraù, di Sacripante, di Rinaldo.
Del resto, l’aver dato al carattere di Angelica una tinta un poco più soda, a me pare effetto di una disposizione d’animo, che si rivela anche in molte altre parti. Lodovico è assai più benevolo al sesso debole di quel che fosse Matteo. Qualche volta si lascia uscir di bocca parole acerbe (XXVI, 1; XXIX, 74); egli arriva perfino a dar luogo nel poema a una satira così sanguinosa della lussuria e infedeltà femminile, qual è la novella di Giocondo (XXVIII); ma per lo più esalta le donne quanto è possibile (XX, 1-3, XXXVII, 1-23): e se anche la sincerità delle lodi, in un libro dove se ne profondono tante a gente tutt’altro che degna, può riuscir sospetta, certo è sincera la compassione (VIII, 58), è sincera l’accusa d’ingiustizia che si pone sulle labbra di Rinaldo, per la diversa misura che s’adopera nel giudicare le colpe amorose dell’uomo, e quelle della femmina (IV, 66; e cfr.
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