Quanto in femmina fuoco d’amor dura,
Se l’occhio o il tatto spesso nol raccende.
(Purg., VIII, 76)
Eppure, chi cedesse alla tentazione di architettare un ragionamento sulla diversità di queste due rappresentazioni, e credesse di poterci vedere il riflesso della vita interna dei due poeti, correrebbe un gran rischio di edificare sopra fondamenta assai poco solide. Chi ben guardi, Doralice è già nel Boiardo; solo, invece di chiamarsi così, ha nome Tisbina (I, XII, 88).
Costoro, o buone o malvagie, sono femmine in tutto e per tutto. Ma nei nostri romanzi tiene pure luogo cospicuo un tipo, che sta come di mezzo tra il femminile ed il maschile: la donna guerriera. E il Boiardo e l’Ariosto ce ne presentano due esemplari ben distinti, in Marfisa e in Bradamante.
Donde trae origine questo tipo? Un erudito di fama ben meritata, P. Paris, inclina a vederne il primo esempio in uno dei più tardi prodotti della poesia cavalleresca francese, nel Tristan de Nanteuil, dove Aye d’Avignon, travestita da uomo, combatte, e da prode, sotto il nome di Gandion.(54) Mi permetto [46] di pensare altrimenti. Se dicessi che codesto Tristan si diffuse ben poco nella stessa Francia,(55) e assai probabilmente restò sconosciuto affatto all’Italia, non avrei dato una prova, bensì un semplice indizio, che non dimostrerebbe nulla contro un’emanazione indiretta, e meno ancora contro una comunanza di origine. Le mie ragioni sono d’altro genere. Secondo me, non è esatto il dire che il tipo sia il medesimo. Marfisa, Bradamante, sono donne guerriere; invece Aye è una femmina costretta per un concatenamento di casi a mentire il sesso, e a farsi credere uomo.
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