Al più poteva incapricciarsene un Morgante, o qualche uomo selvaggio. Il lato donnesco manca proprio del tutto. In compenso, se si dà fede al Petrarca, che di certe prove fu testimonio oculare, costei era un portento di forza, di coraggio, di valore. Una rinomanza simile ebbero un secolo dopo una Orsini, moglie di Guido Torello, e Bona Lombarda, valtellinese.(72) E di poco inoltrandoci, troviamo la figura d’ogni altra più splendida: Caterina Sforza, «la madonna di Forlì», della quale il Boiardo vide solo il mattino; l’Ariosto tutto il breve giorno.(73)
Ma neppur cotale derivazione è la vera. A dir molto queste eroine potrebbero avere avuto qualche efficacia come cause occasionali; ché l’arte non si procaccia con una laboriosa trasformazione e idealizzazione del reale ciò che preesiste di già nel suo mondo fantastico. E le donne guerriere preesistevano [49] difatti, ed erano famigliari a tutte le menti sotto altri nomi. Ognuno vede che intendo parlare delle Amazzoni, popolarissime sul declinare del medioevo, soprattutto in grazia delle storie troiane. E ci sarà forse bisogno di rammentare a chi legge la Teseide del Boccaccio? Né l’azione delle Amazzoni fu solo diretta. Il tipo della mitologia greca aveva avuto un riflesso nel poema di Virgilio. A Pentesilea dobbiamo Camilla, guerriera senza amori, come la nostra Marfisa, ch’io non dubito di chiamare sua figliuola ideale.(74)
Marfisa è un’invenzione del Boiardo; ma assai prima di lei il nostro romanzo cavalleresco aveva accolto altre figure del medesimo genere, quasi tutte derivate, in ultima analisi, dallo stesso ceppo greco-latino.
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