L’Ariosto modera alquanto quella sua indomita superbia e tracotanza; arriva perfino a fare che un giorno s’induca per compiacenza a indossare vesti femminili (XXVI, 69). Di ciò non saprei dargli lode. Le tinte mezzane stanno bene quando si ritraggono oggetti reali; ma nel mondo della pura fantasia ci [54] voglion per solito colori vividi, linee ardite, recise, oppure all’incontro colori addirittura evanescenti, linee indeterminate, sennò gran parte dell’effetto va perduto. D’altronde, ridotta Marfisa a queste proporzioni, non si saprebbe più perché sola resti inaccessibile a sentimenti erotici. Qui non ci sarebbe ragione alcuna di meravigliarsi se un cavaliere s’accostasse a lei e le facesse una dichiarazione d’amore;(87) nell’Innamorato a nessuno dei personaggi potrebbe mai nascere un’idea siffatta, più che a noialtri la voglia di offrire un bacio a una tigre.
All’abbassamento di tono in Marfisa ne corrisponde un altro in Bradamante. E neppur questo, se bado all’impressione, vorrei dire felice. Mi piace poco vedere questa donna guerriera trattenuta a Montalbano dalla famiglia come l’ultima femminella (XXIII, 24). E mi piace ancor meno, quando verso la fine del poema(88) me la vedo diventare una buona figliuola qualunque, che non ha il coraggio di disubbidire alla mamma (XLIV, 39). Le si vuol dare un marito che non ha mai visto in sua vita; brucia per Ruggiero; eppure ci vuol prima un lungo ragionamento, e pianti, e querele, perché arrivi a formare un proposito di resistenza (Ib., 41-47). Certo il coraggio va ben distinto dalla petulanza; sicché in fondo l’idea dell’Ariosto era forse tutt’altro che cattiva; ma per farla valere, bisognava che l’esecuzione riuscisse a stabilire l’accordo tra le doti più o meno contrarie che s’erano messe a fianco.
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