Prendo dunque a studiare a parte a parte la formazione dell’Orlando Furioso. E mi rifaccio proprio dal primo [66] principio, ossia dal titolo. Anch’esso ha la sua storia, sebbene non sia, né lunga, né intralciata. Orlando Furioso è evidentemente un’espressione figlia di quella che aveva messo in fronte al suo poema il Boiardo: Orlando Innamorato.(113) Qui pure, come in tante altre cose, il Conte di Scandiano era stato innovatore; ché avanti a lui, volendosi esprimere un concetto perfettamente analogo, si era detto: L’Innamoramento de Carlo Magno.(114) E invero, questa e non altra era la foggia di costruzione che da sé medesima si offriva al pensiero di un italiano. Ne sia prova il fatto, che non solo la troviamo usata per parecchi altri poemi e poemetti, quali sarebbero l’Innamoramento di Rinaldo da Monte Albano(115), di Milone e Berta(116), di Falconetto e Dusilena, di Tiburtino e Formetta, di Lucrezia ed Eurialo(117), ma perfino la vediamo intromettersi nel libro del Boiardo, già nell’edizione principe, seguita poi dalle posteriori, leggendosi al termine del volume: Qui finisse l’inamoramento de Orlando. E appunto sotto questo nome l’opera fu conosciuta più comunemente. Con questo Isabella d’Este la domandava e ridomandava nel 1491 al suo autore, che, rispondendo, faceva una volta docile eco egli stesso;(118) con questo la segnò Michelangelo da Volterra in quel suo ben noto elenco di romanzi; a questo s’attennero i continuatori: l’Agostini, il Valcieco.(119)
Ma ritorniamo al titolo dell’Ariosto, dove potremo rilevare qualche altra cosa ancora.
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