Entrambi constano di due scene, con mutamento del secondo personaggio. Nell’uno (Trist., I, f.o 232-33)(156), s’accosta prima uno scudiero, che, se non fosse ben pronto a scappare, sarebbe ucciso da Palamidesse, furente per essere stato disturbato nel suo duolo. Succede poi Tristano; e, come s’è visto, riesce colla persuasione a togliere di là l’afflitto. Nell’altro caso (Trist., I. f.o 239-40)(157) allo scudiero corrisponde una donzella. Pietosa qual è, tenta di rimuovere Palamidesse dal suo tristo meditare: senza frutto, ma almeno, grazie al sesso, sfuggendo a maltrattamenti. Per le notizie riferite da lei e commentate da Tristano, vien poi a ritentare l’impresa il signore del vicino ricetto, e raggiunge lo scopo. Il terzo esempio (Trist., II, f.o 143 v.o)(158), più semplice, segue ad una lunghissima relazione del torneo di Loveserp o Loverzep. I [77] confortatori sono qui il re d’Irlanda e il re di Scozia, amici di Palamidesse, che questa volta cede presto alle preghiere, e se ne va con loro.
Gli ultimi due esempi del Tristan potrebbero servire di transizione alla seconda forma. Nell’uno (II, f.o 173 v.o)(159) è notte, e splende la luna. Tristano, avendo visto passare un cavaliere afflitto, desidera di sapere chi sia. Gli tien dietro; e raggiuntolo a una fonte e accostatosi pian piano, è testimonio di mille smanie e ascoltatore di lunghe parlate ad Amore, che, a quanto pare, non se ne dà per inteso. Alla fine Palamidesse s’accorge di non esser solo. Si appicca un discorso, fino dal principio non amichevole, e che divien poi ostile addirittura, quando i due si scambiano i nomi.
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