Il fatto si ripete, si può dire, in tutta quanta l’opera, benché non dappertutto, grazie a Dio, con tante complicazioni. Del resto, quanto alla parte che ha trovato riscontro nei romanzi francesi, sarebbe pazzia il supporre che l’Ariosto si tenesse davanti un’infinità di modelli, e prendesse un tratto di qui, uno di là. Qualche esemplare gli dovett’essere ben presente; gli altri, o piuttosto alcuni, gli avranno lasciato nella lettura reminiscenze, che al momento del comporre si poterono ravvivare, ed entrare per qualcosa nella composizione, anche senza che egli se ne rendesse conto. L’Ariosto non era un gran divoratore di libri; e per solito, chi poco legge, rammenta assai. Ma non [86] c’immaginiamo neppure per sogno che dovunque c’è una somiglianza abbia ad esserci un rapporto diretto; certe analogie sono senza dubbio accidentali, o, per dir meglio, emanano unicamente dalla comunanza dei dati fondamentali. Entro certi limiti, le medesime sostanze tendono anche ad avere gli stessi accidenti.
M’è sembrato opportuno di esaminare così per minuto questo episodio, per rendere fino dal principio ben chiare e concrete le idee sulla costituzione della materia ariostesca. Sottoporre tutto quanto il poema a un procedimento consimile, sarebbe cosa impossibile a me, anche per insufficienza di materiali. D’altra parte la ricerca delle fonti non può dirsi ragionevole, né riuscire feconda, se non dove ci sia, o invenzione, o composizione. Ora, nel Furioso abbondano i quadri in cui il soggetto si riduce a poco o nulla, e dove il pregio sta nell’esecuzione, od anche nello sfarzo della cornice.
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