Ama di far precedere alla melodia qualche battuta di preludio: ecco tutto. A volte saranno riflessioni suggerite dal racconto; a volte un saluto agli uditori; a volte si prenderà occasione dal ritorno della primavera, che ravviva nel poeta la favilla degli amori e dei canti;(237) talvolta dall’ora in cui s’immagina avvenuta l’azione; altrove si proverà il bisogno d’invocare un aiuto; ma anche allora non si amerà impacciarsi né coll’Olimpo cristiano, né col pagano, e, volendo specificare,(238) si chiederà l’ispirazione, o ad una divinità terrena (II, IV), o alla stella d’Amore (II, XII), o alla Virtù che muove il terzo cielo (II, XXI).
Ho enumerato parecchie categorie; eppure non bastano a comprendere tutti gli esordî boiardeschi.(239) Tra cotante forme l’Ariosto ne sceglie, si può dire, una sola. È quasi sempre un pensiero d’ordine morale, che gli serve di tema all’esordio; e canti privi di esordio egli non ne ammette più alcuno. Ora Lodovico (parrà questo un giudizio ben strano) era una natura assai più riflessiva che fantastica. A voler trovare tra gli antichi chi gli rassomigli, bisogna fermarsi ad Orazio, piuttosto che ad alcun altro poeta.(240) Entrambi scrivono satire [104] perché così porta l’indole loro; ma se insieme compongono, l’uno liriche, l’altro un poema, gli è per un decreto imposto dalla riflessione alla volontà. Però i proemî di Lodovico riescono, nel loro genere, qualcosa di così perfetto, da non temere confronti. C’è solo una domanda da farsi: non sente un po’ troppo del sistematico, e a lungo andare, non produce qualcosa che assomigli alla monotonia, quel darne immancabilmente uno ad ogni canto?
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