VIII, 27;(302) e l’essere il Jungentur jam gryphes equis detto solo per dare appunto esempio di una conciliazione inconcepibile, non toglie di certo la [119] possibilità di una certa efficacia esercitata sul nostro poeta. Il quale ricevette probabilmente una spinta anche dalla circostanza fortuita che il Boiardo, precisamente dove riferiva la genesi portentosa di Rabicano, metteva sulla scena due grifoni, (I, XIII, 6),(303) contro cui soprattutto, con gran fatica e pericolo, dovette Rinaldo conquistare l’impareggiabile cavallo. EOgni grifon di quelli è tanto fiero,
Che via per l’aria porta un cavaliero:
parole qui non seguite da effetto, e da doversi riferire a un sollevamento per mezzo degli artigli; ma ben atte nella loro ambiguità a far lavorare in altro senso la fantasia.
Del resto, quanto alla struttura, l’ippogrifo è una semplice variante del grifo. Come si raffigurasse i suoi il Boiardo, non resulta chiaro. Ma i grifi, quali li vediamo noi, e quali li aveva visti di certo anche l’Ariosto, nelle rappresentazioni della scoltura antica, soprattutto nei fregi dei cornicioni, erano anch’essi una mescolanza di leone e d’aquila. E accanto alle rappresentazioni grafiche, s’avevano le descrizioni per mezzo della parola. Invece di citare passi di autori antichi,(304) ne riporterò uno medievale, non meno esatto, e più esplicito: «Griphes aves esse», dice Alberto Magno (De Animalibus, lib. XXIII), «magis tradunt historiae, quam experta Philosophorum vel rationes philosophicae. Dicunt enim has aves ante effigurare aquilas in capite et rostro et alis et anterioribus pedibus, licet multo sint maiores: in posteriori vero parte et cauda et posterioribus cruribus imitari leonem.
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