E noi vediamo difatti Astolfo rimaner «come cieco» (p. 141). Ma conobbe l’Ariosto questo nostro testo o l’originale da cui fu tradotto? Per verità ne dubito assai.(313)
Posti i termini, sono dati i rapporti. Però sui combattimenti di Gradasso, di Ruggiero (II, 48), e più tardi di Bradamante, contro di Atlante, non c’è da fare ricerche. Rammentano un poco la battaglia di Rinaldo coi due grifoni del Boiardo ricordati poco fa. La tattica è press’a poco la stessa. Più che certe scarse analogie di parole, m’induce a credere non casuale la somiglianza il vedere Bradamante lasciarsi cadere a terra (IV, 23), ricorrendo alla medesima astuzia che era riuscita così bene al fratello (Inn., I, XIII, 21). Infine, poiché l’ippogrifo, in sostanza, non è altra cosa che Pegaso, andranno pure menzionate - niente più - le battaglie di Bellerofonte coi Solimi e colle Amazzoni.
Chiudiamoci di nuovo nei confini del secondo canto. Il messaggero in grazia del quale Pinabello viene a conoscere con chi egli si sia accompagnato (st. 62), in un romanzo della Tavola Rotonda avrebbe potuto essere, altrettanto e più facilmente, una donzella; ché le ambasciate vi si affidano più spesso a femmine che a maschi. Ma anche di valletti non c’è penuria. A ogni modo si può ben mettere questo particolare con quegli altri molti, rispetto a cui l’Ariosto ama di rientrare sotto le leggi della verosimiglianza comune. Qui fa un po’ di meraviglia il veder l’autore informare il suo pubblico della nimicizia ereditaria tra le due geste di Maganza e di Chiaramonte (st.
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