Ma come osservai altra volta, l’Ariosto in generale è molto benigno alle femmine, e tende a dipingerle infelici, pagate d’ingratitudine, oppresse.(321) Invece io non conosco tra i romanzieri un più acerbo persecutore del sesso gentile che il preteso Helie de Boron. Qualunque ne sia la causa - probabilmente un cieco risentimento per un’offesa forse assai ben meritata - c’è nel Palamedès una strana ricchezza di scene dirette a rappresentare le femmine siccome leggiere, capricciose, infedeli, false, vendicative, scellerate, e che altro so io. In uno di questi bei tipi è intoppato Brehus: un personaggio che quantunque conservi sempre l’appellativo tradizionale di Sans Pitié, qua dentro fa spesso la figura d’un uomo bonario e poltrone, ottima compagnia per chi cerchi occasione di riso. Insomma, egli si mostra molto migliore della sua fama, e diventa una specie di Dynadan.(322) Come trovasse la donzella, desse fede alle sue bugiarderie, innamorasse di lei, sono cose che in parte s’avranno a riferire ad altro proposito. Ciò che qui ci riguarda è la scena ultima: quella per cui si parte nuovamente una coppia così bene assortita.
Una catastrofe poco aggradevole per Brehus era facilmente prevedibile; ché tutte le moine della damigella nascondevano un odio implacabile, e fino dal primo giorno essa aveva preso la sua deliberazione: «Elle dist bien en soi meismes, que se elle puet oncques trouver enging(323) ne art, comme elle peüst(324) faire mourir Brehus, mestier est que elle le face.» (f.o 491 v.o)(325) È presso a poco il proposito fatto da Pinabello (II, 67), appena scopre d’essersi accompagnato con una chiaramontese.
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