Saltiamo dunque a piè pari un buon numero di carte.
Brehus rimane quella notte là dentro.(363) L’indomani è condotto «tout une voie auques estroite et par dessous terre; tant que il viennent a une breche(364), par ou l’en yssoit de laiens(365). La breche(366) estoit en une roche, en un lieu loings de gent et desvoiable.» (f.o 512.)(367) Di là egli esce, e si trova in una foresta, a più d’una lega inglese dal pozzo per dove era entrato.
Aggiungere parole per mettere in evidenza le somiglianze di questo episodio del Palamedès con quello del Furioso, sarebbe fatica gettata. L’Ariosto ha preso dal romanzo francese tutta l’orditura e un gran numero di particolari. Eppure, a rigor di termini, non si potrebbe parlare di imitazione. Imitazione è studio di accostarsi a un modello; e questo studio in Lodovico non c’è. Egli prende la materia, se l’appropria, come se non fosse roba di nessuno, e la vien digrossando e rifoggiando con uno scalpello ben altrimenti esperto. Soprattutto bada a togliere il superfluo. Giacché nei romanzi della Tavola Rotonda, e in particolar modo in quelli che più importano per noi, c’è una deplorevole mancanza d’ogni senso della misura e della varietà. Si direbbe che il merito dei libri si valutasse a peso. [130] Non s’ha mai fretta; ogni minuzia dev’essere descritta, ripetuta; nulla di sottinteso. Conseguenza inevitabile per noialtri lettori d’oggidì sarebbe una noia indicibile, se con un po’ d’abitudine non si riuscisse a sapere ciò che si dice, senza bisogno di leggere.
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