Questa moltiplicità i nostri poemi cavallereschi la devono soprattutto ai romanzi della Tavola Rotonda, i quali, anche intitolandosi da Lancilotto, da Tristano, da Palamidesse o Girone, consacrano una gran parte dello spazio alle avventure di cento altri cavalieri. Quindi ad ogni momento la formola: «Mes a tant laisse li contes a parler de.... et retorne a....». Come fare altrimenti? Non c’è arte la quale possa far camminare parallele parecchie azioni slegate, senza prenderle ad una ad una, e ad una ad una condurle innanzi per un tratto di via. Certo non tutte le interruzioni sono egualmente necessarie; con un’acconcia disposizione delle fila molte si possono evitare; e per verità è mera goffaggine e mancanza assoluta di criterî artistici, se certi nostri autori di romanzi semipopolari del quattrocento, quello della Trebisonda, per dirne uno, smettono ad ogni passo un soggetto per ripigliarne un altro.
Il Boiardo richiama anche qui un’attenzione particolare. Per lui, che ha creato un genere al quale la Tavola Rotonda [144] ha contribuito più largamente della materia di Francia, per lui, che narra i casi di molti cavalieri e di molte dame, il frazionamento del racconto è imposto dalla natura delle cose. Eppure la pluralità delle azioni nell’Innamorato è di ben altra sorta che nel Lancelot, nel Tristan, nel Palamedès. Là, per ritornare alla metafora già usata, le fila sono perfettamente divise, e solo si possono raggruppare tratto tratto, ed anche ravvicinare tutte quante meccanicamente, se due o più personaggi principali s’incontrano sopra una via, se il re Artù tiene qualche gran corte o bandisce un torneo.
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