- Adagio, dice il Boiardo; un momento ancora: [145]Da poi se parte e torna a la marina,
Non ha più voglia nel naviglio intrare;
Ma così a piedi nel lito cammina;
Et una dama venne a riscontrare,
Che dicea: Lassa! misera! tapina!
La vita voglio al tutto abbandonare.
Ma parlar più di ciò lascia Turpino,
E torna a dir di Astolfo paladino.(420)
(I, IX, 36.)
Questo, in buon toscano, si chiamerebbe «far la cilecca» ai lettori; è un porger loro lo zuccherino, e poi tirarlo indietro quando hanno aperto la bocca per inghiottirlo. È un metodo malizioso, e che si confà perfettamente col tono della narrazione. Forse c’entra anche un’intenzione simile a quella per cui si lasciano sporgere le cosiddette morse da una fabbrica che s’intende di continuare. Può darsi che il Boiardo miri a ottenere una miglior coesione delle parti, e movendo dal principio che la curiosità aiuta la memoria, pensi, e non a torto, che basterà poi un cenno per richiamare i lettori a racconti smessi anche da lungo tempo. Ma il proposito di farsi giuoco del pubblico c’è di certo ancor esso; anzi, a me pare il movente principale.
Dal Boiardo ha imparato quest’arte maliziosa anche l’Ariosto, che tuttavia la viene applicando più nella seconda che nella prima metà del poema.(421) Nella prima gli succede molte volte di sospendere la narrazione nei punti di riposo, senza far sentire per nulla le prime note di un nuovo motivo; appunto come solevano i romanzieri francesi, e quanti tra i nostri avevano preceduto il Conte di Scandiano.
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