Con un pretesto la manda dunque anch’essa in un bosco, in compagnia di due suoi fedeli, ai quali ha segretamente commesso di ucciderla.(473) Questi due non sono crudeli quanto i mascalzoni di Polinesso; si sono indotti a obbedire perché loro si è fatta credere colpevole Brangain; ma poi, venuti al luogo e al momento di dar esecuzione al comando, si lasciano intenerire, e si contentano di abbandonarla legata ad un albero. Le grida che vien facendo l’infelice,(474) sola e senza aiuto in un luogo spaventevole, e precisamente in una valle come Dalinda,(475) giungono all’orecchio di Palamidesse, che passa per caso in quelle vicinanze (Trist., I. f.o 62). «Quant il entent le cri qe cele demene, il torne cele part son cheval»,(476) e tanto cerca, che trova la donzella. Egli la discioglie, la riconosce, e le offre di accompagnarla dovunque le piaccia. Brangain desidera di essere condotta ad un certo monastero, con intenzione di rimanervi tutta la vita.(477) Palamidesse ve la scorta; ma ben tosto essa ne uscirà, poiché Isotta, appena commesso il fallo, si ravvede, e non avrebbe più pace, se non venisse a sapere che il suo barbaro comando non fu eseguito. Tuttavia è [163] singolare che anche questa circostanza abbia riscontro nel Furioso, dove Dalinda
Monaca s’andò a render fin in Dazia.
(VI, 16.)
Quando il vero si trova, le osservazioni e le supposizioni erronee cadono di per sé stesse. Eppure non è senza ammaestramento il conceder loro un poco d’attenzione. Delle origini dell’episodio d’Ariodante e Ginevra parla già il Fórnari, e altri parlava ancor prima di lui: «La qual novella pur vogliono alcuni, che avenuta fosse in Ferrara: et che sotto ’l nome di Ginevra intendesse (l’Ar.) d’una parente del Duca di Ferrara: et per Ariodante un Gentilhuomo di valore, ma privato, et per Polinesso un signor di quel paese.
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