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      (502) Analogie tra di loro ce ne son parecchie di certo; ma è possibile più d’una spiegazione. Bensì la conosceva senza dubbio l’Ariosto, che tuttavia, grazie al suo rettissimo giudizio, non si lasciò sedurre dall’esempio a lussureggiare più del dovere.(503)
      Le origini delle descrizioni sono sempre difficili a rintracciare. Bisogna che si allontanino poco o tanto dalla natura quale a tutti è dato di contemplarla, perché la figliazione si possa scorgere con sicurezza. Però nelle ricerche di fonti sembra un vero riposo il far ritorno alla parte narrativa, di tanto più trasparente. Così il mirto, che già fu Astolfo, e che, malmenato dall’ippogrifo, parla, prega, e narra poi la sua storia (st. 26), non ci tien certo sospesi, per ciò che spetta alla sostanza. Virgilio e Dante (inutile consumare spazio in confronti, mentre i testi stanno sotto gli occhi e nelle memorie di tutti) hanno manifestamente contribuito all’invenzione.(504) Ma anche due [170] imitazioni nel Filocolo del Boccaccio, la fonte di Fileno e il pino di Idalagos,(505) che oltre al manifestarci convenienze minute,(506) un pochino sospette in un’opera di questo genere,(507) hanno comune col mirto d’Astolfo il metterci innanzi delle vittime d’amore, e la seconda tra esse propriamente della mobilità femminile, parrebbero esser state presenti all’Ariosto. Il quale tuttavia, non altrimenti che il Boccaccio ambedue le volte,(508) si fece eco specialmente di Dante.(509) Quanto a Virgilio, direttamente ha dato il nome dell’albero, e poco più.


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Le fonti dell'Orlando Furioso
di Pio Rajna
pagine 965

   





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