[171] Il racconto di Astolfo (st. 34-51) è in parte ripetizione, in parte complemento, di cose narrate dal Boiardo (II, XIII, 54-66; XIV, 1-8). Badiamo tuttavia: il secondo autore non si tiene obbligato nemmeno per ombra a indagare le intenzioni dell’altro, e a rispettarle scrupolosamente. Egli è un erede, non un esecutore testamentario. Però annerisce la figura di Alcina, e insieme con essa quella di Morgana, di cui già il Boiardo aveva fatto Alcina sorella (II, XIII, 55). Morgana non era certo messa in troppo buona vista neppure in certi romanzi francesi, come quella a cui specialmente era affidato l’ufficio di attraversare gli amori di Lancilotto e Ginevra. Ma ivi, pur rappresentandocela ciecamente vendicativa (quanto alla lascivia, non so fino a che segno le possa lì essere imputata a colpa) non le si negano ottime doti, nonché di mente, di cuore.(510) L’Ariosto dichiara senza remissione ambedue le sorelle inique e scelerate. E piene d’ogni vizio infame e brutto (st. 44); e perché l’origine corrisponda a questa rappresentazione, le fa nascer d’incesto (st. 43). Perché mai? Non già per una esagerazione dei dati tradizionali. Se quelli hanno fornito un appiglio, il motivo vero è di tutt’altro genere. Esso consiste nel senso allegorico, che l’autore volle infondere in questa parte del poema.
L’allegoria è una delle forme principali del pensiero in tutto quanto il medioevo. Né quell’età ne era stata davvero l’inventrice: anch’essa l’aveva ricevuta da quelli che noi chiamiamo gli antichi, i quali alla loro volta la ripetevano da un passato addirittura tenebroso.
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