Bellezza e leggiadria(512) lo piegano alla voluttà. L’avarizia, raffigurata in Erifilla (VI, 78-81, VII, 3-7), gli attraversa la via, ed è da lui domata. Eccolo ora in braccio alla lussuria (VII, 9-32), dimentico del retto, infangato a tal segno, da non potersi più liberare. Per buona sorte c’è una virtù sovrumana, che vigile lo assiste, e che gli fa cadere le bende, mostrandogli il vizio in tutta la deformità sua (st. 38-74). Ed egli allora, ritornato ai buoni propositi, sa resistere, quantunque il vizio, usando, ora la seduzione, ora la violenza, gli dia nuovi e più fieri assalti (VIII, 3-11, X, 35-54). A questo modo egli giunge alla fine a toccare il desiderato porto (X, 57).
L’allegoria, come si vede, dal Boiardo in qua è riuscita a guadagnar terreno. Essa è una certa gramigna, che dovunque penetra, riesce a propagarsi con una fecondità portentosa. Ce lo dicano i Simbolisti moderni! Addirittura tre canti sono occupati da questa rappresentazione del contrasto fra le tendenze [174] buone e le malvage; e non è questa la sola parte simbolica del poema. Tuttavia l’Ariosto, se rasentò l’abuso, si tenne ancora entro i confini del lecito.(513) Chi abusò davvero furono i suoi interpreti. Trovando che una porzione dell’opera era manifestamente un ordito di ammaestramenti morali, presero il galoppo e arrivarono perfino a immaginare che tutto oramai il poema avesse ad essere allegoricamente didattico.(514) Di tante aberrazioni convien dare la colpa ai tempi e alle tendenze filosofiche che erano venute prevalendo.
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