(539)
[182] Che le mura d’oro, o che tali paiono, della città d’Alcina (st. 59) derivino dall’aurea saepes che cinge la sede di Venere nell’Epitalamio di Onorio e Maria di Claudiano (v. 56), non si sarà troppo inclinati a pensare, quando si sia rilevata la miglior corrispondenza col muro d’or che di lì è ben venuto alla Giostra (I, 71). La splendida porta (VI, 71) ricorda insieme il palazzo di Dragontina (Inn., II, IV, 25), e quello di Venere nella Giostra stessa (I, 95 e 97). A quest’ultimo pensava l’Ariosto quando descriveva poi la dimora dell’incantatrice (VII, 8), e la collocava alla sommità di un colle (G., I, 93). Qui tuttavia anche il castello di Carandina (Mambr., I, 40) vuole qualche parte; non come modello imitato, bensì emulato e vinto. Ma dal Poliziano sono bene ispirati quei pargoletti amori, che aguzzano i dardi.(540) Dove folleggian costoro, vediamo pur correre donzelle lascive,
Che se i rispetti debiti alle donneServasser più, sarian forse più belle.
(VI, 72.)
Con queste non saranno male paragonate certe ninfe di Venere nel Quadriregio,
Di rose coronate e fior vermigli,
Vestite a bianco dal collo alle piante,
(I, XVI, 16)
le quali vengono incontro alla loro Dea, quando, colla preda fatta, se ne ritorna alla sua corte. Anch’esse stannoIn balli e canti, ed in solazzi, e gioco;
(Ib., 12)
solita occupazione in tutto quel regno. E certo non sono più pudiche delle nostre: assentono, prima ancora d’essere invitate.
Quanto alla Diva, il poeta non aveva bisogno di pescarne le fattezze negli scrittori.
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