51), della quale si proferirà qui primamente il nome (st. 66),(558) bisogna dunque pensare a qualche altro modello. Per verità non c’è altro imbarazzo, che di soverchia abbondanza. Il venire a conversare cogli uomini sotto aspetto simulato, è un’abitudine assai comune per gli Dei dell’antico Olimpo.(559) Ma anche qui c’è da ritornare un’altra volta al poema del Cieco. Ivi son due gli eroi che cadono nell’abbietta servitù di Carandina. A Mambriano tien dietro Rinaldo. Così l’episodio della liberazione si viene a raddoppiare. Orbene, nel secondo caso l’ufficio di liberatore e ammonitore è adempito da Malagigi, il quale, per meglio riuscir nell’intento,
Cangiò linguaggio, effigie, abito e panni,
E come mercadante s’è ridutto.
(V, 9.)
[187] Qui abbiamo un travestimento, piuttosto che una metamorfosi; e si mira a ingannar Carandina, anziché Rinaldo; ciò nondimeno un’analogia da tener bene a calcolo c’è senza dubbio.
L’anello (st. 64) fu già usato qual mezzo di disincanto dall’Angelica del Boiardo (Inn., I, XIV, 43).(560) Servono a uno scopo analogo le corone di fiori e d’erbe che Brandimarte, ammaestrato da Fiordelisa, pone in capo ai baroni prigionieri nel Fiume del Riso (Ib., III, VII, 34). Per il nostro caso saranno termini di paragone ancor più opportuni, il liquore che Malagigi dà a bere a Rinaldo, affine di rendergli la memoria (Mambr., VII, 79), e il breve che gli consegna, perché con esso addormenti l’incantatrice (Ib., 86). Del resto, rispetto agli anelli, non voglio tacere che altrove posseggono la proprietà opposta: per liberare dalle malìe conviene toglierli a chi li ha in dito.
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