E sconosciute sono realmente; tuttavia, per la proprietà fisica (quella dell’esser specchio delle doti morali è tutta loro), va detto come il medioevo fosse solito esagerarsi la luminosità del «carbunculus», o piropo che vogliam dire, il quale, per servirmi delle parole del trattato marbodeo, «velut ignitos radios jacit undique», e fiammeggia anche nelle tenebre.(571) Su questo fondamento le fantasie si inalzavano a volo; sicché, per esempio, dall’alto di un padiglione che già fu d’Attila e che è venuto in potere di Foresto, un carbonchio sparge tal luce all’intorno nel poema di Nicola da Casola, chePlus de dix mil chevalier s’i poïst(572) veoir garnir.(573)
E carbonchio o piropo sarà certo anche la pietra lucenteChe drittamente a foco s’assimiglia,
da cui la grotta di Morgana è presso il Boiardo illuminata [190]
Come il sol fusse in cielo a mezzo giorno.(574)
(Inn., II, 8, 18.)
E «uno carboncello» posto «in cima a ogni cantone della torre» manda una luce pari a quella di «quattrocento lumiere» al Palagio del Grande Disio, che già s’ebbe a ricordare,(575) e che per ricchezza di materiali è degno di gareggiare colla nostra rocca,(576) pur essendone per altro rispetto il contrapposto, come quello in cui regna la lascivia. Quanto ai giardini pensili (st. 61-63), devono bene essere ispirati da quelli famosissimi di Babilonia;(577) sennonché, per l’eterna primavera di cui si allietano, è da ricorrere di nuovo segnatamente alle regioni fantastiche già ricordate.(578) Infine, l’ippogrifo infrenato da Melissa paragonerò qui pure col suo modello antico: con Pegaso, domato da Bellerofonte, grazie ad un morso donato da Minerva.
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