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      Tutto ciò sta benissimo; il guaio si è che Lodovico non è l’inventore delle innovazioni. L’episodio di Niso ed Eurialo era già stato imitato, per l’appunto in quei paraggi dove ci siamo andati di fresco replicatamente aggirando, dall’autore della Tebaide (X, 347). Ed ecco che prendendo in esame l’imitazione, vediamo tosto come il nostro poeta abbia tenuto a quella gli sguardi, dov’egli è uscito dalle tracce di Virgilio.(810)
      I due giovani si chiamano qui Opleo e Dimante, e, come Cloridano e Medoro, appartengono agli assediatori, non già agli assediati. «Regum ambo comites»,(811) dice di loro il poeta; ché in certa guisa Dardinello ci si raddoppia. Opleo, calidonio, colui che è primo a concepire il disegno e che pertanto fa riscontro a Niso ed a Medoro, pensa a Tideo, suo signore; Dimante, arcade, a Partenopeo. Le parole di Opleo nel principio dell’episodio (v. 351-59) danno un’ottava e mezzo alla prima parlata di Medoro (XVIII, 168-69). E i due Greci, non altrimenti che i due Saracini, muovono all’impresa senza punto [254] parlare con capitani, o con chi altri si voglia. È questa una conseguenza necessaria del mutamento di fine; all’utile pubblico si è sostituito uno scopo di natura affatto privata.
      Di qui innanzi Virgilio è per un tratto non breve sola scorta all’Ariosto. Stazio procede molto più alla spiccia: forse per schivare la taccia d’imitatore pedestre. In lui non c’è contrasto di sorta tra i giovani, non c’è uccisione di nemici. Conviene arrivare alla preghiera inalzata da Medoro alla luna, col relativo esaudimento, per ritrovare di nuovo sotto le parole del poeta Ferrarese i concetti del Napoletano.


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Le fonti dell'Orlando Furioso
di Pio Rajna
pagine 965

   





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