Col suo retto criterio, l’Ariosto non ci annoia con combattimenti e uccisioni di belve e di mostri, come solevano, in circostanze consimili, pressoché tutti i nostri romanzieri del ciclo carolingio. Con due soli versi egli scivola su questa materia.(834)
Non è piccola fortuna per il suo eroe l’essere montato su Rabicano: un destriero del quale si decantano qui le doti meravigliose (st. 40-41), seguitando il Boiardo,(835) senza proprio [262] mettere il piede nelle sole sue orme. Pertanto, eccoci bentosto al Nilo; dove, un eremita che governa una barca, vorrebbe indurre Astolfo a mutar direzione, affine di evitare un terribile gigante (st. 41-46). Avvisi cosiffatti sono un luogo comune della Tavola Rotonda. La circostanza della navicella penso si debba all’Innamorato (II, IX, 52). Ed anche nell’essere l’ammonitore un uomo di religione, potrebbe aver avuto parte un altro luogo dello stesso poema (I, V, 57). Lo credo probabile in grazia di analogie, che indicherò or ora, tra i pericoli contro i quali si vuol mettere in guardia. Ché del resto non durerei fatica a trovare altri confronti per l’eremita ariosteo; per esempio, il romito che sconsiglia Segurant, alloggiato nel suo ricovero, dall’andare all’impresa del Pas Berthelais.(836)
Come tante altre volte, cogli elementi romanzeschi e medievali si frammischiano verosimilmente qui pure gli elementi classici. Ché vien fatto di pensare anche al misero, da cui, presso Valerio Flacco (Arg., IV, 134), gli Argonauti sono avvertiti del pericolo che corrono nella terra d’Amico.
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