Il vero si è che quelle ombre di personaggi che andavano vagando per le selve della Brettagna, paiono non di rado acquistar corpo dentro al nostro poema. Lodovico le riduce spesso ad agire come esseri reali, a ragionare come ragionava ai tempi suoi un Italiano di buon senso. L’uomo educato alla scuola dei classici e della vita ci si rivela ad ogni momento.
Tirando dunque innanzi per la stessa via, Astolfo arriva bentosto al gigante Caligorante,(841) ch’egli fa cadere nella sua [264] propria rete (st. 49-54). Questa, sebbene sia detta dal poeta la medesima in cui Vulcano avviluppò anticamente Venere e Marte (st. 56), a noi par piuttosto quella di Zambardo nell’Innamorato.(842) Del resto l’episodio è rimutato del tutto. Usciti di fresco dall’esame di una lunga serie di imitazioni classiche, sentiamo tanto più viva la differenza tra il contegno che l’autore suol serbare di fronte ai romanzieri medievali, e di fronte ai poeti dell’antichità. L’elemento classico non manca neppure in questo luogo; ma esso ha una parte secondaria, e serve, quasi direi, di condimento.(843)
Che Caligorante, invece d’essere ucciso, sia condotto in catene dal suo inglorioso vincitore, è ancora una propaggine dell’Innamorato. Lodovico ha colto il destro di rallacciare in questo punto l’episodio di Orrilo, lasciato senza compimento dal Boiardo, il quale, nell’interromperlo, aveva anche gettato ai lettori una di quelle sue solite esche di curiosità:
Durando la contesa in su quel prato,
Un cavaliero armato ivi arrivava,
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