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      Che avea preso in catena un gran gigante.
      Ma di tal cosa più non dico avante.(844)
      (III, III, 21.)
      L’episodio di Orrilo è dunque continuato e compiuto scrupolosamente dall’Ariosto (XV, 64-90). Certo il Conte Matteo Maria accetterebbe di buon grado per suo il supplemento del continuatore. S’adatta così bene al busto dell’Innamorato, che proprio non ci s’accorge d’avere sotto gli occhi l’opera di due mani diverse. Non bisogna tuttavia esagerare le difficoltà del lavoro, né il merito di Lodovico, non dissimile in questo caso da quello del restauratore d’una Venere, a cui manchino le braccia ed il capo. La maggior parte delle cose dette dal nostro poeta intorno a quella strana zuffa col ladrone fatato [265] appartengono al Conte di Scandiano (III, II, 40-III, 21). Il quale, se avesse potuto raccontarne egli stesso la fine, si sarebbe sbrigato in poche ottave. Ma Lodovico, che suppone l’Innamorato, noto bensì a’ suoi lettori, ma non troppo presente alla memoria, rinnova lo spettacolo della recisione e del risaldamento delle membra, a cui noi s’era già assistito. Però di nuovo, se si trascura la cena (st. 76-78), a cui il nome di novità non converrebbe abbastanza, c’è solo il capello, da cui è fatta dipendere la vita del gigante (st. 79), e il modo come Astolfo si leva dall’imbarazzo non piccolo di discernerlo in mezzo a una folta capigliatura (st. 86-87).
      Di ambedue questi nuovi elementi non è difficile trovare l’origine. Il capello viene dalla mitologia antica. È il capello fatale di Pterelao,(845) o piuttosto, poiché quest’altra tradizione era rimasta senza confronto più nota, quello di Niso.


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Le fonti dell'Orlando Furioso
di Pio Rajna
pagine 965

   





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