Lo narra a Girone un cortese valvassore, che ne fu egli stesso testimonio. Aquilant,(930) fratello del re di Norhombellande, teneva una [276] gran festa, nell’occasione ch’erano promossi alla cavalleria l’undecimo e il dodicesimo de’ suoi quattordici figli.(931) Ecco venire un cavaliere d’alta statura e armato di tutto punto, che grida baldanzoso: «A il en ceste place nul chevalier tant hardy, qui osast jouster encontre moy?»(932) Non appena costui vede avanzarsi un avversario pronto alla giostra, si dà a scappare(933) in una vicina foresta. L’altro lo incalza; ed egli, senza nemmeno essere toccato, si lascia cadere a terra; «et gisoit en my le chemin ainsi comme s’il fust mors.» Accorrono dame e cavalieri, e non trovandolo punto offeso, gli chiedono, perché si sia lasciato cadere. «En nom Dieu», egli risponde, «encores ne voulois je pas mourir; car je saveis bien que li chevaliers qui après moi venoit, le glaive baissé, me mist a mort, se il pust.» In pena di così inaudita codardia, gli si fa promettere di mai più portar arme, cominciando da quel giorno stesso, e di non tenersi mai più per cavaliere.
Partitosi, il vigliaccone giunge intorno ad ora di vespro a una fonte, presso la quale giace Galeoth le Brun, ferito così gravemente in una battaglia sostenuta pur allora contro due cavalieri, che è meraviglia se non è morto. Le armi, eccetto la spada, sono ridotte in tale stato, da non poter più servire. Il codardo, sceso a terra, getta le sue per la via: sì per mantenere la promessa, sì perché, facendo gran caldo, lo affaticano.
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