Però si guarda bene dal dargli ascolto. Un giorno andavano per una grande foresta. Siccome Guieret si sente alquanto indisposto, costruiscono una capanna di rami e di foglie, e vi prendono ricovero. La sera, un grido, che loro giunge agli orecchi, induce il nostro narratore a prender le armi e ad accorrere, desideroso di conoscerne l’origine. Che cosa gli accada di trovare, lasciamolo per ora; qui basti dire che ritornando gli nasce l’idea di spiare, se può, «la voulenté de ma damoiselle et de mon compaignon.» S’accosta dunque pian piano, e sente che i due si bisticciano: la donzella richiede istantemente d’amore Guieret, ed egli ricusa fermamente di venir meno alla fede verso l’amico. «Et elle li disoit toutes les vilenies du monde de moi, et toutes les mauvaitiez. Et cil en disoit toutes les courtoisies et tous les biens.»
La storia non termina a questo punto; sennonché il resto va riserbato per illustrazione del canto XXIII. E già la parte che segue alla partenza dal castello non ha più riscontro nel Furioso; ossia, tutta la somiglianza si riduce a ciò, che la donzella, dopo aver perfidamente tradito il primo amante, vuol fare altrettanto col secondo. L’Ariosto conservò dunque il pensiero fondamentale, ma lo incarnò in forme totalmente diverse. Fece benissimo; ché nel romanzo francese il secondo tradimento è una ripetizione del primo. Gli è dunque alla solita legge di varietà che il poeta obbedisce. Fino a lì s’era invece veduto un accordo pressoché continuo. Non c’è forse in tutto il Furioso un episodio che offra migliore opportunità di indagare i criterî, le tendenze, l’arte dell’Ariosto.
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