Il legame comune sta in ciò, che in tutti e quattro i casi si hanno rappresentati col linguaggio delle [377] arti, per opera d’ago, di pennello, di scalpello, personaggi e cose future. Basta dir questo perché subito s’intenda a che mirino intromissioni siffatte. Sono un ripiego per ammettere nel poema roba posteriore all’azione. Lo scopo è dunque presso a poco il medesimo a cui servirono di già la mostra dei discendenti nella caverna di Merlino,(1449) e i discorsi di Melissa colla sua protetta nell’andata al secondo palagio di Atlante.(1450)
Diciamo anzitutto in genere: le origini sono triplici. C’è la realtà, la quale, dopo aver servito di modello nel principio, non poteva, essa che, nonché persistere, era venuta estendendo il suo dominio, non continuar ad operare; e dalla realtà prende nascimento la svariatezza degli oggetti che servon di campo alle figurazioni; ci sono in secondo luogo gli esemplari classici; e c’è per ultimo la tradizione romanzesca. Distinguere la parte da assegnare a ciascun fattore, non è cosa facile; né si può tentare, ad ogni modo, se non caso per caso.
Dei quattro episodî prendo a considerar per il primo quello che rivela più limpidamente la sua derivazione. Che si trovi al termine del poema, importa poco. Nessun dei quattro ha legami intimi colla materia; stanno dove sono, unicamente perché ci furono messi. Ebbene: il padiglione su cui Cassandra sciupò il tempo a ricamare una pretesa vita del cardinale Ippolito (XLVI, 77-97), è figlio legittimo di quello disteso da Brandimarte nella prateria sotto Biserta (Inn., II, XXVII, 50-61). Anch’esso era fattura di un’antica vaticinatrice:
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