Ammettiamo pure che anche in condizioni normali i cavalieri erranti non paiano, per verità, avere la testa troppo bene a segno. Un illustre alienista li direbbe affetti da pazzia ragionante; e secondo i nostri criterî d’oggidì, sarebbe un far loro grazia. Prova ne sia l’ultimo saggio che Orlando ci dà di sé avanti di perdere il senno.
Lo lasciammo là dove egli compì la liberazione di Zerbino;(1498) altrove s’era lasciato Mandricardo, che ne andava in traccia.(1499) Finalmente s’incontrano (XXIII, 70). In genere, sappiamo di già che cosa ne deva seguire. Pertanto, se i due si contentassero di pestarsi ben bene le ossa e le armi coi soliti colpi di spada, non avrei bisogno d’intervenire; nessuno, di certo, mi chiederebbe l’origine di quelle botte. Ma la zuffa ha peculiarità sue proprie; quindi la necessità di tenerne parola.
E in primo luogo, al momento del combattere, Orlando s’avvede che Mandricardo è senza spada (XXIII, 77), e però gli fa le medesime osservazioni che gli erano state fatte in condizioni analoghe da Ruggiero, verso la fine dell’Innamorato (III, [391] VI, 43). Anche la risposta è in fondo la stessa,(1500) e viene allo stesso modo ad aggiungere una nuova causa di quistione, cioè il possesso della spada; di notevolmente diverso c’è solo questo, che nel Furioso il Tartaro ha da dipanare la doppia matassa con un solo avversario. In grazia di cotale semplificazione, se prima Orlando faceva riscontro a Ruggiero, ora lo fa invece a Gradasso, il quale infatti, come il nipote di Carlo, non essendo uomo da voler combattere colla spada contro un avversario che ne è privo, depone anch’egli la sua.
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