Sia pure ingiusta nel caso di Tristano: le apparenze sono di tal sorta, da dover trarre ognuno in inganno. Che si vuole di più che una lettera scritta di suo pugno da Isotta? Nel Furioso quell’autografo si trasforma nei nomi incisi sugli arboscelli,(1559) in cui Orlando, con una prontezza da far onore ad ogni persona del mestiere, riconosce subito la mano di Angelica: [401]Volgendosi ivi intorno, vide scritti
Molti arboscelli in su l’ombrosa riva.
Tosto che fermi v’ebbe gli occhi e fitti,
Fu certo esser di man de la sua Diva.
(XXIII, 102.)
Accertata la parentela per i rapporti di questa parte, diventano legittimi i paragoni anche in cose meno simili, o comuni ad altri impazzimenti. Però quasi arriverei perfino a collegare la fonte colla fonte, sebbene Tristano, a differenza d’Orlando (XXIII, 130-31), non turbi per nulla le acque della sua.(1560)
Ma qui meno che mai sarebbe il caso di discorrere d’imitazione in senso stretto. Ciò che ho inteso di dire, gli è solo che la pazzia di Tristano servì qual punto di partenza ed ebbe a fornire gli elementi primi. Figuriamoci se la trasformazione poteva non esser profonda in una parte della composizione a cui Lodovico doveva aver pensato fin da quando concepì primamente la sua orditura! E non è mai da scordare che la natura aveva fatto Lodovico autore drammatico, sicché fino dall’adolescenza egli s’era avvezzo all’osservazione e allo studio dei sentimenti e delle passioni. Il noto aneddoto del suo silenzio durante i rimproveri paterni e della spiegazione che poi n’ebbe a dare, fosse pur anche un’invenzione, rappresenterebbe sempre qualche cosa di sostanzialmente vero.
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