Ponendo mente a queste cose, non s’avrà troppa fatica ad intendere come dalla follia di Tristano potesse uscire l’impazzimento d’Orlando. Gli è con arte finissima, studiata e imparata osservando la natura, che il poeta ritrae i sentimenti che si succedono nell’animo del paladino, e li vien motivando grado grado, da quando gli cadono la prima volta sotto gli occhi i nomi intrecciati di Medoro ed Angelica (XXIII, 102), fino a quando il braccialetto, che già fu di Morgana, strappa l’ultimo filo a cui sono sospesi il dubbio e la speranza (st. 120-21; V. XIX, 37). E anche da indi in poi lo svolgimento della passione è [402] mirabilmente razionale. Solo, quelle tre ottave di lamento presso alla fontana (st. 126-28), ammirate e ammirabili quanto si vuole, sono viziate da un secentismo precoce. L’idea fondamentale ed alcune espressioni, provengono, par bene, da un epigramma latino Ad Amorem, di Michele Marullo.(1561) E in verità stavano assai meglio in bocca ad un poeta umanista, che in una lingua morta favellava ad una divinità morta ancor essa. E si badi che l’Ariosto ha rincarato d’assai la dose delle sottigliezze e dei concettini. Se non ci fosse di mezzo l’imitazione (e può darsi che il Marullo non sia neppure il solo umanista di cui l’Ariosto volgesse per la mente i versi)(1562), quasi parrebbe [403] inconcepibile che queste tre stanze siano opera di chi aveva composto le antecedenti. Ma è da riflettere che anche sotto la rettorica più falsa può nascondersi il sentimento più vero.
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