Ché, anche Marte sembra aver adempito male assai gli ordini impartitigli da Giove (III, 218): in cambio di tumulti guerreschi, si vedono gli assediatori di Tebe attendere a giuochi. E il Sovrano degli Dei se ne sdegna; e commette a Mercurio un messaggio assai minaccioso (VII, 5-33). Né il Dio della guerra (Ib., 81) è meno pronto a obbedire di quel che sia la Discordia; e se uguale è l’ardore, anche gli effetti sono tali in entrambi i casi da soddisfare pienamente i padroni.
Nel Furioso tornano dunque a riaccendersi i fuochi, di cui s’è già avuto a discorrere. Non saprei forse indicare nel poema una parte più geniale di questo nuovo garbuglio di questioni. [415] La genesi è spiegata dalla solita legge di progresso: le contese del canto XXVII stanno a quelle del XXVI, presso a poco come queste a quelle dell’Innamorato. Il che non significa punto che qualche parte non sia suggerita immediatamente dal Conte di Scandiano. Intendo parlare delle pretese che mette innanzi Gradasso (st. 54), le quali vengono diritte dal già citato canto VI del libro III.(1601) I personaggi sono i medesimi: Mandricardo e Gradasso. Le circostanze concordano: Mandricardo sta per combattere con un altro cavaliere, e Gradasso gli è al fianco, ed è con lui nei migliori termini immaginabili. Il soggetto della questione è lo stesso: la spada Durindana. S’aggiunga che la contesa nasce qui e là incidentalmente, e che la rissa a pugni dell’Ariosto è degna sorella - o, dirò meglio, figliuola - delle bastonate di Matteo Maria.
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