Qui ha termine la catena dei duelli, di cui m’ero prefisso di discorrere. Nondimeno mi rassegno a parlar d’armi per qualche poco ancora, e spero che il lettore voglia dal canto suo portar pazienza. Ci guadagneremo la pace dell’anima, ossia una piena e definitiva tranquillità sulla sorte dei Cristiani assediati in Parigi. D’altronde i casi di guerra - s’è già visto più volte - si sbrigano con una prontezza singolare.
Dal campo saracino passo quindi alla parte cristiana, e trovo Rinaldo, che un’altra volta s’avvia con soccorsi alla capitale (XXX, 93).(1606) Stavolta sono genti sue proprie: quei famosi settecento (XXXI, 56), che nei romanzi italiani sono divenuti la sua schiera di rigore, non altrimenti che per Orlando i ventimila seicento. L’incontro e le battaglie con Guidone, e alla fine, il riconoscimento (XXXI, 8-35), nascono da uno dei consueti accoppiamenti del ciclo brettone col carolingio. L’idea fondamentale viene da romanzi appartenenti a quest’ultimo. Dirò anzi, da un romanzo, poiché l’Ariosto conobbe di certo l’Ancroia in rima, ma ben difficilmente il testo in prosa, che fa corpo colle Storie di Rinaldo, e più improbabilmente ancora l’inedito poema del codice Riccardiano.(1607) Ora, nell’Ancroia, Guidon Selvaggio, venuto in Francia, come ci viene nel Furioso, benché non colle stesse circostanze, si conduce avanti tutto a Montalbano, e non ci trovando Rinaldo, col quale voleva venire a prova, abbatte Ricciardetto, Alardo e Guicciardo rimandandoli poi subito liberi, senza darsi a conoscere.
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