44-59).(1615)
Anche la contesa tra Gradasso e Rinaldo (XXXI, 90 sgg., XXXIII, 78 sgg.) ci ricondurrà all’Innamorato (I, I, 4; Ib., V, 32). Vi troveremo più che il fondamento delle cose qui continuate, e più che gli elementi necessarî alla piena intelligenza dell’Ariosto, dato che non ci basti il cenno sommario delle stanze 91-92. Noi vedremo anche colà entrare in giuoco Malagigi, e con sue arti mandare a vuoto il duello (I, V, 32-47). Dico anche colà; poiché nessuno vorrà dissentire da Lodovico nell’opinione da lui manifestata circa la provenienza del mostro che nel Furioso assale Baiardo durante il combattimento (XXXIII, 85). Certo è solo in embrione che l’idea si può dir muovere dall’Innamorato; ivi, in luogo di disturbare semplicemente la battaglia, come avviene qui, il negromante ordisce un inganno assai più complesso, e fa che Rinaldo combatta contro uno spirito, credendosi di aver a fronte Gradasso. Ma se colla loro inimitabile arguzia e verità non valessero da sole a ricomprare ogni difetto le due ottave in cui il poeta mette in questione se il mostro fosse o no opera d’incanto, e dice delle acerbe parole che poi Rinaldo n’ebbe col cugino e della pertinacia di costui a negare, noi pure s’avrebbe voglia di dolerci con Lodovico, per avere, correndo dietro alle reminiscenze dell’Innamorato, intromesso il Mago dove ragionevolmente non aveva da entrare. A Barcellona le sue arti erano domandate da un supremo interesse; qui, perché s’immischia di ciò che non lo riguarda? Sta bene Atlante, che vedendo il suo Ruggiero in pericolo di soccombere ad Orlando (Inn., II, XXXI, 33), finge simulacri, che inducano il nipote di Carlo a volgersi altrove; ma il duello nostro, a che fine interromperlo adesso?
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