Ché, nell’ospite di Meliadus e dei compagni, nella tristezza del Morhault, nei discorsi tenuti dopo tavola, mi par impossibile di non riconoscere l’oste d’Arli (Fur., XXVII, 130), la malinconia del re di Sarza (Ib., st. 133), i ragionamenti che danno poi appiglio a raccontare la storia di Giocondo. La quale, se ben si guardi, vien proprio a prendere il luogo dell’onta di Meliadus, nel tempo stesso che per un altro verso corrisponderebbe ancor meglio a quella di Pharamont. Ché questi pure imprende [434] a dimostrare la leggerezza femminile, e a confermare con un esempio un principio poco galante da lui enunciato, questo cioè, che la donna, di sua natura, si attiene sempre al peggio. Così anche qui, come più altre volte, non s’ha unicamente una scena originata da una scena, sibbene un gruppo di casi derivato da un altro gruppo. Però il processo di composizione del Furioso ci appare sotto un nuovo aspetto. La similitudine, a cui si ricorre spesso, delle pietre che si raccolgono rozze, e che poi lavorate e riquadrate vengono a comporre un edifizio mirabile, non va presa sempre alla lettera, né estesa all’universalità del poema. L’Ariosto stacca a volte di qua o di là interi pezzi di muraglia per adoperarli nelle costruzioni sue; e ciò che rende ancor più notevole il sistema, si è il cavar fuori da quei pezzi questa o quella pietra, riempiendo poi il vano con una di tutt’altra provenienza.
Restano da chiarire alcuni particolari, prima di andar oltre. Quale tra i differenti modelli passati in rassegna servì alla scelta di Doralice?
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