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      Qui Sciahzemān obbedisce all’impeto dell’ira, ed eseguisce ciō che anche Giocondo farebbe (st. 22), se il primo impulso non cedesse ad altri sentimenti. L’uno uccide i due colpevoli; l’altro si allontana tacitamente, senza torcer loro un capello. Ma insomma, eccoli entrambi portar seco un segreto cordoglio, che li rode, li sfigura, ne mina profondamente la salute, e non lascia loro pių pace. Le accoglienze alla corte sono festose in entrambe le narrazioni: se di fratello a fratello, o di re ad ospite gratissimo, poco o nulla importa. Ma giuochi e sollazzi non scemano punto il dolore, né di Sciahzemān, né di Giocondo, i quali allo stesso modo preferiscono la solitudine alle liete brigate. Di qui appunto prende occasione l’improvviso e inaspettato risanamento, prodotto dal medesimo farmaco: la vista di uno scorno altrui, maggiore ancora del proprio. Che il drudo della sultana, o della regina, sia un negro, oppure un nano; che alla dissolutezza partecipino, o no, altre donne; che lo spettacolo sia contemplato una volta sola, oppur molte; che vi si assista da una fessura, o da una finestra: sono mere varianti, di cui in questo momento non č da darsi pensiero. Insomma, Sciahzemān e Giocondo si rasserenano, ritornano floridi, e col pronto mutamento danno gran meraviglia al re. Pregati, finiscono per svelargli l’arcano, e fanno assistere lui stesso alla sua propria onta. La sorpresa č la medesima, come ben puō aspettarsi, ed č uguale la decisione di abbandonare il regno; solo diversificano un poco, sebbene non manchino di analogia, le condizioni del ritorno.


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Le fonti dell'Orlando Furioso
di Pio Rajna
pagine 965

   





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