Il quale ha luogo dopo un errare più o meno lungo, accennato appena nelle Mille e una Notte, e che anche nel racconto ariosteo non fa perdere molte parole al poeta (XXVIII, 48-49). La ragione che li induce a tornar addietro, è in sostanza la stessa: una prova manifesta dell’inutilità di ogni cautela per guardare una donna, solo che essa voglia rompere fede. Questo pensiero identico si estrinseca in fatti analoghi, sebbene considerevolmente diversi. A ogni modo, ecco di nuovo le nostre due coppie alle case loro con animo parimenti consolato, ancorché con intendimenti opposti; ché, mentre Sciahrijàr e Sciahzemàn formano il proposito di non riprender più [439] moglie (e Sciahrijàr s’affretterà a far morire, insieme con tutto l’harem, quella che lo ha offeso, e praticherà quind’innanzi il mostruoso espediente, donde si trae il filo che serve di legame alla bella collana delle Mille e una Notte), Astolfo e Giocondo determinano di godersi in pace le donne loro, poiché non sono più felle né meno caste dell’altre.
Come mai con un accordo di questa fatta un insigne erudito(1662) abbia potuto dire che la somiglianza «riguarda solo un motivo della storia di Giocondo», confesso esser cosa per me inconcepibile. Giudicando senza preoccupazioni, si vede bene non esserci da pensare a disgiungere i due racconti. Sotto il rispetto logico, si capiva assai meglio la pretesa che la novella orientale derivasse dalla nostra. Ma se ciò un tempo poteva dirsi, e fu detto, dal Caussin de Perceval per esempio,(1663) ora, progrediti gli studî, non si ripeterebbe più da nessuno.
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